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Project Description
RELAZIONI DI LAVORO E FORME ORGANIZZATIVE: NUOVI MODELLI PROGETTUALI
COMITATO SCIENTIFICO
Anna Comacchio
Università Cà Foscari di Venezia
Enrico Cori
Università Politecnica delle Marche
Tommaso Fabbri
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Luigi Golzio
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Marcello Martinez
Seconda Università degli Studi di Napoli
Riccardo Mercurio
Università Federico II di Napoli
Descrizione
L’economia globalizzata della conoscenza e la società dei lavori provocano una crisi delle teorie esistenti ed inducono alla ricerca di nuove forme organizzative e di nuove relazioni di lavoro. Gli studiosi ed i manager sono indotti a trovare nuove risposte a interrogativi tradizionali: quale forma organizzativa ridisegnare? Quali politiche riformulare e quali relazioni instaurare nei confronti delle persone al lavoro? Quali contesti e quali relazioni di lavoro progettare per creare le condizioni capaci di motivare le persone al lavoro?
La progettazione organizzativa come teoria e come processo.
L’evoluzione delle teorie sulla progettazione evidenzia sia modelli emergenti (multivariati, configurazionali, complementari), sia il ritorno affinato di teorie consolidate, come quella delle contingenze strutturali. Qual è lo stato dell’arte? Quali i modelli più funzionali all’economia della conoscenza ed all’utilizzo da parte del management e dei progettisti organizzativi?
Circa la progettazione come processo, l’approccio razionale assume che il progettista conosca bene il contesto aziendale e gli obiettivi da perseguire, le componenti da includere, i criteri di performance ed il fitting da soddisfare. L’approccio alternativo, morbido, considera il processo del progettare problematico, poiché coinvolge diversi attori, che spesso possiedono percezioni distinte e capacità di rappresentazione inaccurate della loro organizzazione. La progettazione è un processo di ricerca, che il progettista spesso inizia senza aver chiaro che cosa sia corretto o sbagliato; è un processo di apprendimento dove i risultati (attesi ed inattesi) sono da considerarsi sperimentali, la base per lo sviluppo ulteriore del progetto. Quali sono i criteri per valutare la performance organizzativa che vincolano la progettazione, i risultati organizzativi che orientano la progettazione, stante la pluralità di stakeholders coinvolti? Quali sono le modalità più efficaci per sviluppare e condividere le scelte ed il processo progettuali con gli attori coinvolti? Come e cosa imparare dall’evoluzione del ciclo completo di un progetto di riorganizzazione?
La forma organizzativa: un concetto da approfondire.
Nella disciplina non si è ancora affermata la definizione condivisa di forma organizzativa, un caso specifico di identità organizzativa. Il concetto di forma organizzativa implica un’astrazione che, partendo dall’unicità di un’organizzazione empirica, ne coglie i caratteri che permettono la sua categorizzazione con altre organizzazioni similari. La forma può essere il risultato di processi imitativi o selettivi, che riducono la diversità tra le organizzazioni; oppure l’imposizione (incentivata) dall’autorità legislativa, come ad esempio avviene nel settore sanitario o delle utilità pubbliche. Chi definisce l’identità, i codici di riconoscimento ed i criteri di appartenenza ad una forma? Come si misura l’identità? Quali contenuti contrassegnano la forma organizzativa? Esistono altre chiavi di definizione del concetto altrettanto valide e alternative?
Le forme organizzative: innovazione e dilemmi progettuali.
L’innovazione (di prodotto, servizio e processo) determina il disequilibrio organizzativo fisiologico e quindi richiede forme organizzative specifiche, alternative a quelle formalizzate dalle teorie esistenti, che sono invece funzionali a contesti di equilibrio, ad esempio in mercati e settori maturi.
Una prima prospettiva propone di proteggere l’innovazione attraverso il disegno di unità separate dalla forma esistente in modo da assicurare un contesto organizzativo sperimentale, esplorativo, che elude l’inerzia manageriale ed organizzativa della forma esistente. La scelta progettuale si riflette nella fondazione di società separate (per i prodotti e servizi nuovi o innovativi), di corporate venture units, di alleanze in forma di reti burocratiche o proprietarie, di funzioni aziendali ridondanti per evitare interdipendenze strette tra l’attività innovativa e quella routinaria.
Una seconda prospettiva opta per scelte opposte, ovvero integrare le attività innovative nell’assetto organizzativo esistente, in modo da utilizzare le competenze esistenti che assicurano il vantaggio competitivo. Questa impostazione si traduce nella progettazione di: specifici gruppi e meccanismi di integrazione, di processo, di collocazione mobile e programmata delle unità dedicate all’innovazione nella struttura, di forme ambidestre (che ad esempio conciliano i vantaggi delle forme imprenditoriali con quelli delle forme burocratiche) o etarchie (dotate di strutture piatte, decentramento decisionale, responsabilità diffuse e distribuite, ecc.).
La mancata convergenza verso modelli progettuali condivisi e comuni, funzionali a facilitare e sostenere il processo dell’innovazione, ripropone interrogativi che richiedono risposte progettuali esaustive: quali forme le imprese adottano (o dovrebbero progettare) per affrontare l’innovazione e più in particolare gli stadi di vita del suo ciclo? Come il management ed i progettisti affrontano (e risolvono) le situazioni di incorenza tra i fabbisogni dell’innovazione e le risposte organizzative? Come cambia la progettazione organizzativa rispetto all’evoluzione del ciclo dell’innovazione?
Entrambe le prospettive introdotte non forniscono indicazioni progettuali circa le Funzioni di Organizzazione e gestione delle risorse umane: quale ruolo esse devono giocare nella progettazione di forme facilitanti l’innovazione ed il cambiamento? Come debbono essere configurate al loro interno e nel contesto organizzativo? Quali aree gestionali debbono presidiare?
Le forme organizzative e la modifica dei confini: make, buy, avviare o stringere alleanze?
La prospettiva dei costi di transazione offre una chiave di spiegazione micro analitica: la singola transazione come oggetto di analisi per formulare le scelte progettuali di make, buy o di stringere alleanze. Una prospettiva alternativa privilegia l’analisi dei confini organizzativi nel loro complesso, la loro evoluzione dinamica e gli effetti sulla performance aziendale. Questa impostazione consente di considerare le competenze aziendali di sistema, (l’apprendimento, la produzione e condivisone della conoscenza, l’innovazione) e come queste si modificano per effetto dell’evoluzione dinamica dei confini e della forma organizzativi. E’ possibile conciliare queste due alternative? Esistono ulteriori chiavi di lettura?
L’ipercompetizione sposta il confronto sull’efficienza dalle singole imprese a quella delle reti, ovvero un insieme di organizzazioni distinte non solo per dimensione e potere economico, ma per assetti di governance (proprietà e controllo variamente combinate), stock di competenze maturate Ciò richiede la riconsiderazione delle interdipendenze interorganizzative e la scelta della rete più efficiente. La realtà empirica evidenzia la crucialità assunta dal disegno dei sistemi informativi e dall’uso delle tecnologie ICT quali strumenti di integrazione e di comunicazione interorganizzativa. Quali prospettive di ricerca e quali evidenze empiriche offre la realtà del nostro paese? Qual è l’evoluzione organizzativa di reti originali del nostro paese, in primis i distretti?
La progettazione strategica delle relazioni di lavoro: uniformità e stabilità rispetto a varietà e cambiamenti.
Le prospettive istituzionale e dei mercati interni del lavoro hanno sin qui ispirato la progettazione strategica delle relazioni di lavoro, privilegiando i criteri di uniformità e di stabilità, i quali si traducono nell’internalizzazione delle relazioni di lavoro, nel disegno di sistemi di reclutamento dal basso, nella formazione specifica e idiosincratica, nei sistemi di carriera interni. Uniformità e stabilità assicurano coerenza organizzativa e competenze distintive all’impresa ed ai lavoratori, rafforzano i contratti espliciti e impliciti verso gli insiders, favoriscono e legittimano la diffusione dalle best practices.
Le prospettive delle contingenze strutturali, e quelle basate sulle risorse e sui costi di transazione optano per i criteri progettuali opposti, ovvero quelli della varietà e dei cambiamenti delle relazioni di lavoro. La complessità della progettazione organizzativa delle relazioni di lavoro e dei sistemi di gestione delle risorse umane consentirebbe di aumentare l’inimitabilità delle politiche e del capitale umano per assicurare il vantaggio competitivo aziendale nel lungo termine.
La liberalizzazione crescente del mercato del lavoro nel nostro paese spinge le imprese a cogliere le opportunità offerte sperimentando nuove politiche e nuove relazioni di lavoro. Quali evidenze empiriche stanno emergendo? E possibile conciliare le prospettive che si contendono la dominanza scientifica?
La liberalizzazione del mercato del lavoro aumenta anche l’interdipendenza delle discipline del Diritto del lavoro e dell’Organizzazione aziendale, e spinge il confronto circa le logiche di regolazione delle relazioni di lavoro, i codici di riconoscimento e di rappresentazione del lavoro. Qual è lo stato dell’arte del confronto e dell’integrazione scientifici? Su quali contenuti delle relazioni di lavoro essi sono più fecondi?
Progettare le relazioni di lavoro: motivazione ed efficienza.
La prospettiva della cittadinanza organizzativa (o della personnel idea), analizza la prestazione individuale discrezionale, non formalmente ricompensata, che eccede quella prescritta dal ruolo e che si esprime nella cooperazione altruista verso i colleghi di lavoro e l’impresa, ricorrendo alle teorie dello scambio sociale, in particolare l’equità organizzativa.
Il limite della prospettiva dello scambio sociale è l’apparente semplicità della messa in atto di comportamenti di cittadinanza organizzativa. Prospettive emergenti assumono una visione più problematica, dove il comportamento di cittadinanza organizzativa dipende sia da variabili individuali (il senso di auto efficacia e le strategie strumentali di impression management, di potere e di gestione dello stress provocato dai colleghi di lavoro) sia da variabili organizzative (la centralità del ruolo ricoperto nella struttura sociale e di lavoro) e la progettazione di sistemi operativi (informativi, di comunicazione, di compenso) orientata alle esigenze vitali delle persone. Da cosa dipende la cittadinanza organizzativa? Quali sono gli indicatori da utilizzare nei processi di reclutamento? Come progettare le relazioni e le situazioni di lavoro in modo da facilitare i comportamenti di cittadinanza organizzativa?
Progettare la relazione di lavoro: dal job al work design?
La gobalizzazione della conoscenza muta la natura del lavoro aumentandone l’intensità intellettuale e relazionale e lo rende disponibile in mercati geograficamente dispersi, con costi distinti. L’ipercompetizione forza le imprese a cogliere questa opportunità, attraverso la protezione interna dei lavori e delle competenze distintivi ed il ricorso a reti sovranazionali per i lavori non strategici. La tradizionale prospettiva del job design, a motivo della visione micro, non riesce a presidiare la complessità organizzativa del ridisegno dei lavori e delle attività nella prospettiva della rete organizzativa. Al contrario, l’approccio del work redesign, che possiede la visione meso-strutturale, offre strumenti e metodiche (moduli organizzativi, integrazione virtuale, organizzazione per processi, decomposizione gerarchica, la progettazione dei ruoli integratori, ecc) funzionali alla progettazione interorganizzativa dei lavori, come indicato dall’evidenza empirica. Per contro la validità del job design rimane confermata nella ridefinizione delle competenze richieste ai singoli titolari dei ruoli interni e delle loro relazioni di lavoro. Come conciliare i due approcci? Quale esperienza in merito offrono le imprese italiane operanti con reti internazionali? Le imprese distrettuali, quando delocalizzano internazionalmente, riproducono l’organizzazione distrettuale? Integralmente o con varianti significative? Perché? Quanto la riprogettazione dei ruoli di integrazione interorganizzativa è consapevole e presidiata?
Considerare le relazioni interorganizzative come un fenomeno di imprenditorialità di rete, risultato di processi politici tra soggetti (giuridici ed economici) distinti, mette in crisi le tradizionali modalità di decisione, coordinamento e controllo, ma offre le potenzialità di nuove modalità di integrazione attraverso la comunicazione, la fiducia, l’influenza, l’apprendimento reciproco, in contesti culturali con codici diversi. Quanto queste opportunità progettuali sono consapevoli ed agite da parte del management e dei progettisti?
Progettare le relazioni di lavoro: azione manageriale e inerzia organizzativa.
Lo stadio finale della progettazione, l’implementazione dei cambiamenti, spesso è inibito da vari partecipanti all’organizzazione, tra i quali in primis i manager. Questo risultato contro-intuitivo si spiega sia per la mancata comprensione della ridefinizione degli interessi e dei nuovi comportamenti indotti dai cambiamenti, sia per la difficoltà di ridefinire nuove forme e nuovi contratti relazionali. Si tratta di cambiare frames collettivi condivisi e competenze accumulate, indicatori di rassicurazione collettiva. L’inerzia organizzativa e l’incapacità addestrata spiegano solo in parte il paradosso di nuove strutture e unità che presentano gli stessi sistemi operativi, in particolare quelli di incentivazione, delle unità consolidate, pre-esistenti. Come spiegare questa incoerenza organizzativa? Quali variabili occorre considerare? Quali riflessioni teoriche si posso offrire al management?